Intervista con la pediatra Silvia Bartolozzi
By Arianna Bartolozzi Bellantuono
By Arianna Bartolozzi Bellantuono
Dr. Silvia Bartolozzi è una pediatra con oltre 30 anni di esperienza specializzata in pediatria, anestesia e rianimazione. La sua carriera abbraccia sia l’ambito ospedaliero a cui si è dedicata per circa 27 anni con un focus sulla cura neonatale e sulle emergenze pediatriche, sia la pediatria generale. È anche istruttrice certificata IRC (Italian Resuscitation Council) con una particolare attenzione alla formazione e all'addestramento su manovre di disostruzione e rianimazione cardiopolmonare pediatrica (BLSD).
In questa intervista la Dottoressa Bartolozzi ci porta dentro l’affascinante mondo dello sviluppo cerebrale nella prima infanzia. Spiega come si formano emozioni e comportamenti nei primi anni di vita, sfata i miti più comuni sul cervello in sviluppo e offre consigli pratici per i genitori che crescono bambini nell’attuale mondo frenetico e pieno di schermi. Indica inoltre i principali segnali di allarme a cui prestare attenzione e mostra come una cura semplice e costante, insieme a un’interazione quotidiana, possa fare una differenza duratura sia nella crescita che nel benessere del bambino. Buona lettura!
Secondo la tua esperienza quali sono alcune delle cose più affascinanti su come si sviluppa il cervello di un bambino nei primi anni di vita?
Faccio questo lavoro (la pediatra) da 31 anni e continuo ancora a stupirmi di quanto rapidamente il cervello dei bambini cresca nei primi 3 anni. Alcuni aspetti sono un vero e proprio miracolo della natura. E’ come se nascesse un alberello e nel giro di un anno cerebralmente diventasse un baobab. Le connessioni interneuronali si creano in seguito agli stimoli ambientali e si moltiplicano nei primi tre anni di vita. Il cervello può formare milioni di sinapsi al secondo. È una fase di "superplasticità" che non si ripeterà più. E’ per questo che una voce calma, la lettura, il contatto pelle-a-pelle, la routine, il gioco condiviso sono tutti strumenti di crescita dei circuiti neurali. Il cervello produce tante connessioni, poi elimina quelle meno usate. È un processo naturale che lo rende più efficiente. Pensate sempre che nei primi mesi di vita i bambini “leggono” il mondo attraverso i volti e i toni di voce degli adulti. Si parla di sviluppo psicomotorio proprio perché le acquisizioni nel primo anno sono tante: si impara a gattonare, a camminare, ad essere stabili ma anche a riconoscere voci e volti, a sentirsi sicuri, a ridere, a parlare, a scambiare parole ed emozioni. Insomma è il miracolo della vita che inizia in utero ma si completa nell’ambiente, nel contatto con mamma e papà e poi con gli altri.
In che modo lo sviluppo cerebrale nei bambini influenza la loro crescita emotiva e comportamentale?
Nei primi anni di vita le aree emotive (soprattutto il sistema limbico formato da amigdala, ippocampo, corteccia cingolata) maturano molto prima delle aree deputate al controllo razionale (corteccia prefrontale, responsabile di inibizione degli impulsi, pianificazione, flessibilità cognitiva, gestione della frustrazione e comprensione delle conseguenze). Insomma prima si sviluppa il “sentire” e poi il “gestire”. Per questo un capriccio, un pianto inconsolabile, un comportamento oppositivo o esplosivo non sono quasi mai segni di provocazione o ostinazione intenzionale ma l’espressione naturale di un cervello che sente più di quanto sappia gestire. E’ l’adulto che con un comportamento che calma e dà sicurezza deve favorire lo sviluppo comportamentale del bambino andando a modulare le sue esplosioni emotive con coerenza e gesti affettivi (l’abbraccio è contenitivo) e creando delle routine rassicuranti . Quindi lo sviluppo emotivo e quello comportamentale sono legati allo sviluppo cerebrale che a sua volta è legato alla interazione con l’ambiente. Questo fa capire come il ruolo genitoriale sia fondamentale per la serenità e l’equilibrio dei figli
Quali sono alcune idee sbagliate comuni che le persone hanno sul “cervello in sviluppo”?
Alcune convinzioni ricorrenti vanno smontate. Ecco alcuni esempi:
“Il cervello è predeterminato”: niente di più falso, il cervello è estremamente plastico quindi ambiente, relazioni e routine contano moltissimo.
“Stimolare sempre è meglio.” : il cervello ha bisogno anche di pausa, noia, riposo quindi smettiamola di avere un intenso planning settimanale per i nostri figli tale da far invidia al CEO di una multinazionale
La fretta nel raggiungimento degli obiettivi è quella che fa giudicare patologico un bambino troppo rapidamente nel corso del suo sviluppo neurologico. Ogni individuo è una realtà a sé: le variazioni individuali sono normali. Qualche bambino ha bisogno di più tempo per raggiungere una tappa (pensiamo al gattonare, camminare, parlare etc). Osserviamoli e in questo facciamoci guidare come genitori dal pediatra.
“Il bambino si comporta così perché è un provocatore” : in genere non è intenzionale, è una immaturità neurologica. Sta a noi contenerlo e valutare l’evoluzione.
Ci sono piccoli dettagli che i pediatri notano (magari un movimento, una reazione o un’abitudine) che possono rivelare molto sulla salute neurologica di un bambino?
Il pediatra è un osservatore, una specie di Sherlock Holmes in cerca di indizi. Questo è vero soprattutto quando il bambino è molto piccolo e non parla. Con gli anni impariamo a valutare anche piccoli dettagli e a ricontrollarli nel tempo. Se permangono allora bisogna agire. Nel neonato cerchiamo subito di valutare la reattività ai suoni e alla voce della mamma e se è facilmente consolabile. Poi valutiamo nel tempo l’acquisizione di alcune tappe motorie come la fluidità dei movimenti, l’afferrare, il ruotare, lo stare seduti senza aiuto, il gattonare e il camminare. Da subito è importante l’aggancio dello sguardo, il sorridere e il relazionarsi con l’ambiente . Nessuno di questi segnali è diagnostico da solo: sono indizi, non conclusioni.
I bambini di oggi crescono circondati da schermi, stress e stimoli costanti. Come pensi che tutto questo stia rimodellando il loro cervello rispetto alle generazioni precedenti?
Una volta, in epoca pre internet, si giocava nei cortili e nei parchi. Adesso la realtà è virtuale e gli amici li senti o li vedi tramite cellulare. Ma il linguaggio, la condivisione di esperienze costruttive, l’empatia sono fondamentali per costruire un adulto equilibrato. Oggi non ci si può più annoiare e per non sentire i bambini che si lamentano gli si dà un cellulare in mano. Maggiore esposizione a stimoli veloci e gratificazioni immediate rendono più difficile tollerare frustrazione e attesa che però nella vita saranno presenti. Si rischia di creare dei disadattati. Il cellulare non dovrebbe essere usato prima dei 12 anni e comunque dovrebbe sempre essere controllato dai genitori e regolamentato nei tempi. Gli stimoli dati da internet devono essere solo contenuti nel tempo trascorso davanti ai dispositivi e relazionati alla età. Se osserviamo questo avremo solo effetti positivi legati alla facilità con cui si possono acquisire nuove nozioni e imparare nuove lingue sfruttando al massimo la plasticità neuronale. Detto ciò, non vedo gli schermi come “nemici”: il problema è la quantità e soprattutto la sostituzione delle relazioni reali.
Cosa ti dà speranza riguardo al rapporto della prossima generazione con la propria mente e la salute mentale?
Molto, in realtà: intanto c’è una sensibilità crescente verso il benessere psicologico e questo è solo un bene. C’è anche più apertura nel chiedere aiuto. Gli stessi genitori sono più informati e attenti alla salute mentale. Si dà anche più importanza alle emozioni, al pensiero critico e alla inclusione. I bambini crescono mediamente più curiosi e più critici. La sensibilità crescente verso il benessere psicologico è un cambiamento enorme rispetto agli inizi della mia carriera.
Come possono i genitori riconoscere i primi segnali che qualcosa potrebbe non andare dal punto di vista neurologico e quando dovrebbero cercare un consiglio medico?
Non dobbiamo essere costantemente preoccupati ma ci sono alcuni segnali che il genitore deve segnalare al pediatra. Per i più piccoli sono “red flags” la scarsa reattività ai volti o ai suoni, l’ assenza di vocalizzi dopo i primi mesi, movimenti rigidamente asimmetrici o troppo ripetitivi, difficoltà nel consolarsi. Successivamente è preoccupante la perdita di abilità precedentemente acquisite, difficoltà persistenti nel linguaggio, comportamenti molto ripetitivi, scarso interesse per l’ambiente e le persone, irritabilità marcata e prolungata, eccessiva difficoltà nel gestire cambiamenti minimi.
Ricordiamoci anche che il pediatra fa i “Bilanci di Salute” che sono delle visite periodiche programmate che servono proprio a monitorare lo sviluppo psicofisico del bambino e ad evidenziare segni critici da far approfondire dallo specialista.